Con
grande piacere pubblichiamo questo articolo (e le foto) dell’esperienza fatta a
Tokio dal nostro docente di violino, che ha partecipato alla tournée del Teatro
dell’Opera di Roma, sotto la direzione di Riccardo Muti, svoltasi dal 15 Maggio
al 2 Giugno.
DA VALMONTONE A TOKIO
GRAZIE ALLA MUSICA
IL RACCONTO DI UNO
SPLENDIDO VIAGGIO
Descrivere
in poche righe le impressioni riscontrate in un viaggio di 18 giorni a Tokyo,
al seguito della tournèe che il Teatro dell’Opera di Roma ha effettuato
presentando due opere di Verdi - Nabucco
e Simon Boccanegra, sotto la bacchetta di Riccardo Muti - è certo
un azzardo: una realtà così complessa non può essere compresa se non dopo tanto tempo e numerose esperienze; chi scrive
potrà solo riportare le sue considerazioni sull’onda delle emozioni vissute sul
posto. Non resta che cominciare dai dati certi, ringraziando la dirigenza
dell’I.C. “Madre Teresa di Calcutta” presieduta dal prof. Pietro Pascale, che
ha permesso al sottoscritto, docente di Violino nella sede della S.M.S.
Zanella, di usufruire dei permessi scolastici indispensabili per effettuare
quel viaggio.
Tokyo:
capitale del Giappone, uno potrebbe pensare. Certo, ma anche capitale,
innanzitutto, dell’HiTech. E non c’è
possibilità di fraintendere: a 360 gradi - ma anche nelle tre dimensioni - vedrete
palazzi, grattacieli e costruzioni “monumentali” di varie grandezze realizzati
con acciaio e cristalli di varie fogge. Di certo una delle città più
tecnologiche del globo, che probabilmente ha superato in grandezza e densità i
più moderni insediamenti statunitensi, ed alla quale si accostano le altre due
megalopoli marittime orientali, Shanghai e Hong-Kong. La sensazione schiacciante
è che in molte parti delle zone in cui è divisa la città, i centri lavorativi e
di rappresentanza di grandi e piccole industrie, dei marchi di generi più
disparati (dalle automobili ai profumi, dagli elettrodomestici alle agenzie
pubblicitarie) e di sedi legali di enormi multinazionali, siano i reali
occupanti degli immensi grattacieli e palazzi incassati uno accanto all’altro,
inframmezzati da migliaia - migliaia! - di
centri commerciali che si snodano su 10 piani ed oltre, negozi che vendono di
tutto o solamente articoli di un singolo genere; e poi, in ogni dove, piccoli e
grandi ristoranti, che propongono un’offerta quanto mai ampia di cibo e sapori.
L’organizzazione nipponica è capillare, quasi maniacale; ve ne accorgerete
subito dall’efficienza (sognata da tutti i romani) dei trasporti pubblici su
rotaia - decine di linee ferroviarie e metropolitane - e dal modo in cui le
persone ne usufruiscono: file diligenti che si aprono per far scendere i
passeggeri, silenzio e pulizia all’interno delle vetture, indicazioni precise
sulle fermate e sulle coincidenze (in giapponese certo, ma anche in inglese). A
Tokyo ogni cosa, dal numero degli abitanti, ai grattacieli, ai trasporti, ai
negozi è fuori scala per noi italiani, e lo sviluppo ultratecnologico che qui
si sperimenta è davvero molto lontano dalla nostra realtà. Ma, come diceva lo
Zio Paperone delle storie che leggevo alla mia età, “non è tutto oro quel che è
luce”. I pendolari che vengono a lavorare ogni giorno nella capitale giapponese
sono decine di migliaia, con turni massacranti, e non è difficile vederne
diversi dormire in metrò, nei treni, o addirittura - e non stiamo scherzando - nel camminare dal posto di lavoro al chioschetto
dove mangeranno qualcosa. Un piccolo esempio, tanto per rendere l’idea: chi
lavora come commesso in uno degli innumerevoli centri commerciali ha diritto ad
un solo giorno di riposo al mese. La maggior parte dei viaggiatori, nei
trasferimenti, viene assorbita dall’uso compulsivo del telefonino, quasi sempre
per immergersi nei videogiochi, o per l’ascolto di musica con gli auricolari; questa
prassi si ritrova anche tra i passanti che riempiono le strade ad ogni ora, in
vere e proprie ondate di umanità che cammina da un crocevia ad un altro. Naturalmente
non è pensabile di cogliere il reale spirito della popolazione di Tokyo senza
avere la possibilità di entrare nell’intima essenza di queste persone così
numerose e multiformi. A tal proposito, il punto di vista del musicista che si
trova ad interagire con alcuni di loro per qualche giorno
può però arricchire il quadro con un’impressione in più.
La tournèe dell’Opera di Roma prevedeva l’esecuzione di tre
spettacoli di Nabucco e tre di Simon Boccanegra, opere di diversi
periodi di produzione di Giuseppe Verdi. Nabucco,
il primo vero successo del Maestro di Busseto, è del 1842. Stilisticamente è
opera ancora grezza, un po’ immatura, anche se il celebre “Va Pensiero” da subito si impresse nell’immaginario popolare. Simon Boccanegra, lavoro del 1858, fu
sensibilmente rimaneggiato dal compositore - con l’aiuto di un nuovo
librettista, Arrigo Boito - nel 1881. La tarda rielaborazione, avvenuta nel
periodo maturo, mutò la sostanza di questa composizione - ambientata nella
Genova dogale della metà del ‘300 - e ne ha fatto uno dei frutti più belli
della produzione verdiana meno in auge. Gli spettacoli - concertati e diretti
con grande abilità ed esperienza dal maestro Muti, che ha una particolare
sensibilità per guidare le voci liriche - sono stati apprezzatissimi dal pubblico
giapponese, che ha sempre esaurito i teatri ed aspettato con lunghe code,
all’uscita, il maestro, i cantanti ed i professori d’orchestra. La passione che
i giapponesi nutrono per l’Opera fa parte del grande crogiuolo in cui si
mescolano elementi in forte contrasto tra loro, e che sicuramente
caratterizzano la vita e le dinamiche della popolazione di Tokyo. È cosa
normale, per strada o nei luoghi pubblici, incrociare donne in kimono, giovani
che sfoggiano i look più improbabili, compìti uomini d’affari in eleganti abiti
occidentali, e bambini e ragazzi che, andando o uscendo di scuola, indossano le
tenute proprie del loro istituto. Qua ogni mestiere ha il proprio vestito, la
propria divisa: l’impostazione paramilitare della mentalità giapponese si riflette
anche nel quotidiano, e nel funzionamento dell’ingranaggio è implicito che
ognuno faccia bene quel che deve fare, che sia lavare le scale o pilotare un
aereo. Poi, naturalmente, c’è il rovescio della medaglia: se cercate un posto
tranquillo, magari un luogo d’arte che porti alla contemplazione ed alla
quiete, forse Tokyo non è l’ideale. Le masse di persone che si spostano
continuamente hanno un qualcosa di inquietante, a volte: sembra quasi che l’identità
di ogni individuo si dissolva nel numero, e questo dato fa riflettere sul
prezzo da pagare ad ogni tipo di linea socio-economica che un popolo sceglie di
darsi, sempre che non gli venga imposta. Questa megalopoli è sicuramente un luogo da vedere, per chi ne
abbia la possibilità; la distanza chilometrica dal nostro paese è poca cosa
rispetto allo stile ed ai ritmi di vita che si possono trovare nella più
moderna città italiana, e rappresenta senz’altro un modello di modernità che
viene tenuto in considerazione in tutto il mondo. Una nota va spesa a totale
favore: qui i bimbi, maschietti e femminucce, sono bellissimi. È una
considerazione che sembrerebbe gratuita, ma nel contesto di questo caos
organizzato rappresenta una “goccia di splendore” che si offre a chi è attento
ai volti che passano, freneticamente e continuamente, per le grandi arterie e le piccole stradine di Tokyo.
Giovanni Pandolfo